Tempo fa sono venuta a conoscenza di un libro scritto da una deliziosa giapponese che sprizza gioia da tutti i pori: Marie Kondo (Il magico potere del riordino, Vallardi, 2014). Il metodo Konmari si basa su un concetto estremamento semplice: conservare solo l’imprescindibile, le cose che ci fanno sentire felici. Prima di mettersi a riordinare la casa, bisogna riunire tutti gli oggetti appartenenti ad una categoria (vestiti, libri, documenti) e chiedersi che sentimento ci provoca quell’oggetto: se è gioia, te lo tieni, sennò lo ringrazi per il servizio prestato e lo butti via (la mia anima ecologista vuole interpretare questo “buttar via” come “portare al centro di riciclaggio”).
Quest’ultimo è un bellissimo aspetto delle radici shintoiste della cultura giapponese che manca completamente nella società occidentale: rispettare le cose come entità, considerare che anche gli oggetti hanno un’anima che si sviluppa con lo scorrere del tempo e l’uso che ne facciamo. Da lì la necessità di ringraziarli per esserci stati utili ed averci accompagnato prima di sbarazzarcene.
Non è che consideri necessario chiedere permesso ad una sedia prima di sedermi per paura che il suo spirito si possa arrabbiare, ma perchè credo che il concetto di gratitudine non sia abbastanza inculcato nella nostra società. La gratitudine è la base di tutte le cose positive che ci succedono. Sentire e mostrare gratitudine moltiplica per mille la nostra ricchezza, interna ed esterna. Persino gli effetti della terapia Reiki, che conosco bene perchè la pratico quotidianamente, sono infinitamente superiori se c’è un atteggiamento di gratitudine da parte del terapeuta e del destinatario.
Alcune persone hanno visto nel metodo di questa giapponese una tecnica, fin troppo ossessiva, per mantenere la casa in ordine. Io, invece, ci vedo un vero e proprio corso di automiglioramento. Infatti, Marie comincia il lavoro con i propri clienti chiedendo loro di descrivere con pochi aggettivi come vorrebbero che fosse la propria vita. Con questo esercizio si rivela subito il fine principale del “mettere in ordine”: chiarire quali sono le nostre priorità nella vita, che esistenza vogliamo portare avanti e che tipo di persone siamo.
L’eccesso di oggetti ci “distrae” dalla nostra essenza. Accumuliamo, compriamo, ci “soffochiamo” di cose quando alla fin fine ciò che veramente importa siamo noi, la nostra sicurezza, le nostre qualità interne, che nessuna possessione può migliorare. Se ci liberiamo da questa montagna che ci nasconde abbiamo forse paura che non rimanga niente.
Credo che una delle frasi più incisive di Marie sia “Le case in cui viviamo dovrebbero essere un riflesso delle persone che siamo diventate adesso. Non per quelle che siamo state nel passato”. E’ di nuovo la paura del vuoto quella che ci spinge ad accumulare, ci nascondiamo dietro la scusa che i ricordi sono parte di noi, parte della nostra storia, ci rammentano da dove veniamo. Certo! Ma, per l’amor del cielo, non c’è bisogno di conservare le entrate del concerto degli Europe dell’87!!! Io c’ero, me lo ricordo, sento ancora le emozioni, ma non devo per forza occupare una parte del mio spazio fisico con quel ricordo…ed altre centinaia dagli anni ’80 ad oggi.
Credo che il successo raggiunto da Konmari sia dovuto al fatto che in una società in cui la produzione, la spesa e l’accumulo ha raggiunto livelli insostenibili la gente cominci a vedere che un altro stile di vita non solo è possibile, ma persino auspicabile. Marie è entrata in sintonia con il bisogno di ritorno alla semplicità che sentono in molti, c’è qualcosa di confortante nel semplificare le cose, ci aiuta a centrarci in noi stessi, ad essere più coscienti, presenti…
Ed ora scusate, ma vado in cucina ad imitare quella mia amica che, seguendo il metodo Konmari, seduta per terra e circondata dai tupperware, li prendeva in mano uno a uno per chiedergli “Tupperware, mi fai felice?”
Foto di copertina di Fabrice Van Opdenbosch