Grazie a Dio e alla mia capacità innata di parlare anche con le porte ho un sacco di amiche di tutti i tipi e nazionalità. L’altra sera sono andata a prendere una birra con la mia adorata croata ed ovviamente la questione catalana è uscita fuori come ormai succede inevitabilmente durante qualsiasi conversazione. Ultimamente la tensione è così patente che in certe occasioni si potrebbe tagliare l’aria con un coltello e noi “straniere” (lo metto tra virgolette perchè ci sentiamo parte di questa società, ma con un punto di vista un pochino più oggettivo dei locali, forse) osserviamo l’incalzante succedersi degli eventi con grande sconcerto.
Essendo una questione relativa alla possibile indipendenza di una parte del Paese dal governo centrale le ho chiesto come viveva lei la situazione, giacchè ai tempi della guerra dei Balcani aveva all’incirca 18 anni ed immaginavo che alcuni fatti avessero risvegliato in lei vecchi fantasmi.
La risposta, chiara e concisa, era rivolta ad entrambe le fazioni: non sanno quello che stanno facendo. Ai tempi della disgregazione della Yugoslavia i croati avevano celebrato felici la propria indipendenza nel momento in cui l’esercito serbo aveva abbandonato il territorio a bordo dei carri armati: non sapevano che da lì a poco gli stessi soldati sarebbero tornati indietro per attaccarli.
Il suo sgomento aumentava quando sentiva la gente inneggiare a una Spagna unita grande e forte o ad una Catalogna indipendente grande e forte, perchè aveva la sensazione che queste persone non si rendessero realmente conto delle conseguenze morali e pratiche di questa faziosità. “Io mi ricordo ancora le notti in cui eravamo svegliati dalle sirene antiaerei e dovevamo scappare negli scantinati per proteggerci”.
Un altro ricordo vivo nella sua mente era il costo economico della creazione di un nuovo stato: i risparmi bloccati nelle banche e dei quali fu restituito solo l’80% dopo anni, le difficoltà nel recuperare parte dell’oro rimasto dopo il saccheggio di Belgrado e che sarebbe servito per creare la nuova moneta, persino le ambasciate nel mondo furono divise tra i vari nuovi stati come i regali del matrimonio dopo il divorzio!
Queste sono cose di cui non parla nessuno: ai politici che premono sull’opinione pubblica ed incendiano le masse con discorsi populisti ed inni alla nazionalità (dell’uno e l’altro bando, sia chiaro!) non piace mettere il dito nella piaga delle conseguenze pratiche che inevitabilmente dovrà vivere la popolazione nel caso in cui ci sia una separazione reale o la nascita di un conflitto. Non sia mai detto che perdano qualche voto…
Al contrario della mia amica, io ho avuto la fortuna di non essere stata coinvolta in un conflitto così feroce come quello dei Balcani, quindi non ho vissuto queste settimane convulse con terrore, bensì con ansia e molta inquietudine. Quasi tutto quello che è successo durante il referendum dell’1 ottobre mi ha colpito profondamente per l’intensità dei sentimenti che sono stati espressi in quelle ore. Una scena in particolare è rimasta impressa a fuoco nella mia memoria: una donna di una quarantina d’anni camminava in testa a un gruppo di votanti con le schede elettorali in mano gridando “Per mio padre, per mia madre, per i miei nonni!”. Sono rimasta a bocca aperta: in quel preciso momento ho avuto la netta impressione che certe ferite aperte durante la guerra civile non siano mai cicatrizzate. Ci sono ancora dolori che sono stati soffocati, dalla dittatura prima e dal bisogno di pace e benessere poi, che in questo momento storico sono venutii a galla come se fosse stato aperto il vaso di Pandora.
La cosa mi preoccupa profondamente perchè, se in tutti questi anni non si è trovato un balsamo capace di lenire gli animi lacerati, c’è il rischio che la storia si ripeta e la società ricada negli errori del passato.
La mia sensatissima croata mi è venuta incontro su questo punto: “forse, come succede durante alcune terapie, verbalizzare questi sentimenti soffocati per decenni e portarli a livello cosciente è sufficiente per poterli superare una volta per tutte e lasciarli nel passato”.
Voglio credere che sia così, che questo sia realmente il processo che stiamo vivendo in questo momento. Voglio credere che questa società affronti i fantasmi del proprio passato e li porti alla luce, facendoli finalmente sparire. Voglio credere che il momento storico sia perfetto per realizzare un lavoro profondo a livello di coscienza personale e collettiva. Che ognuno scavi a fondo nella propria anima e porti alla luce i vecchi traumi sepolti, invece di sfogarli in qualche forma di violenza verso l’altro. Alla fin fine un pizzico di buon senso croato potrebbe essere la soluzione a tutto questo delirio.
Immagine di copertina di Fabrice Van Opdenbosch